Ho sempre sognato a occhi aperti.
Da ragazzino sceglievo sogni facili, raggiungibili. Non mi identificavo nell’eroe, per dire, non ho mai voluto essere Hiroshi Shiba, nemmeno pilotare un robottone verso la vittoria mi ha mai attirato, non immaginavo di essere nemmeno quello ombroso ma svelto.
E nemmeno il ciccione simpatico o il bambino pedante.
Non a caso, il mio personaggio preferito era il tipo che si addormentava tanto profondamente da farsi venire la bollicina al naso, quello col sorriso di chi ha vinto alla lotteria quando mangiava famelico una ciotola di riso, sporcandosi e lanciando chicchi ovunque. Roba che se lo avessi davvero fatto a casa mia, mia madre mi avrebbe dato una pedata nel culo da farmi arrivare fino a Fleed a reclamare il posto vacante di principe.
Gli eroi vengono presi a pugni, scossi, gli ammazzano la ragazza due volte su tre (nel caso di Zambot 3, non solo lei), devono fare sempre lunghe corse notturne su moto dal design decisamente discutibile, sono quasi tutti costretti a indossare tutine o costumi oggettivamente imbarazzanti.
Combattete il male con addosso una tuta di pelle bianca CON LE FRANGE, poi ne riparliamo.
Anche se i soldati del male indossano pantaloni a zampa d’elefante.
E il loro comandante va in giro con un pitone intorno al collo. Che poi, buffo, a pensarci bene l’ultima persona che hai visto con al collo un serpente era…
Ma lasciamo stare.
Torniamo a noi.
Immaginavo sempre uno scorrere diverso della mia vita, da piccolo.
Da grande, poi, mi sono ritrovato a fare un mestiere che odiavo, a contatto con della gente spesso scorbutica e tutto questo solo per arrivare a fine mese stanco e con meno soldi di prima.
Allora che fai?
Ti salvi la vita sognando.
Immaginando.
Uno sguardo appena accennato diventa un incontro appassionato, la fila alle poste si trasforma nei primi segni della prossima apocalisse zombie, il rumore che senti alle spalle non è la sirena della solita auto blu a fare la furba per saltare il traffico ma il suono della tua offensiva a segnalare l’arrivo dell’arclight, intrattieni proficue conversazioni con Winston Churchill davanti al banco dei surgelati.
Rincarati.
Crei mondi e sliding doors ogni secondo, la mente funziona sempre, sei costantemente su On, vedi orsetti saltellanti fermarsi dietro di te, la fine del pi greco e della radice di due, apri la scatola e trovi un gatto che non è ne vivo ne morto ma solo incazzato perché non gli riempivi la ciotola. Ecco, ti accorgi quanto questo sia pericoloso e instabile, hai bisogno di controllarlo prima di confondere i confini tra i due mondi.
Quindi, scrivi storie. Scrivi quello ciò che vedi e senti per necessità, in maniera grezza e incontrollata. Quasi, no, niente quasi, scrivi con rabbia.
Poi cresci.
Costruisci barriere e riesci a controllare tutta questa energia. E cosa ne fai di questa energia?
Su che è facile.
La trasformi.
Passi dal bisogno di scrivere alla voglia di farlo.
Da che ho memoria, sulla mia spalla c’è sempre stato uno zainetto, con dentro il libro che sto leggendo in quel momento, una penna e un quaderno.
Sempre.
Gli zainetti si rompono, le penne finiscono ma i libri e i quaderni si conservano.
Li ho ancora tutti.
Vorrei poter dire di aver fatto tutto da solo, ma non sarebbe la verità.
Non ho avuto io l’idea di chiudermi in un mondo onirico per sopravvivere e poi raccontarlo.
Ho avuto un maestro.
Esistono tanti lavori noiosi al mondo.
C’è chi è costretto a stare in catena di montaggio per ore. Conducenti di autobus malpagati affrontano il traffico con cupa rassegnazione ogni santo giorno.
Doppiatori di film porno (ne ho conosciuto uno: sognava di diventare la prossima voce a poter dire “ragazzi, sono veramente euforico”).
Sottotitolatori di film porno (hanno una tastiera con solo le vocali e la lettera H).
Ho sempre pensato alla guardia giurata come il lavoro più noioso mai concepito: ore e ore in piedi davanti a una banca senza poter far altro che rimanere eretto con la necessaria espressione vigile.
Tutto il giorno.
Il mio maestro fu Alessandro, il vigilante della banca di quartiere, perennemente dentro la 127 bianca della Vigilpol, invasa nella sua totalità da cartoni di pizza e fumetti di Diabolik, “quelli sono libri di testo per me, servono a tenermi aggiornato sulle moderne tecniche del furto”, diceva a un ragazzino troppo ingenuo da accorgersi di come fossero aperti tutti alle pagine dove appariva Eva Kant.
Dopo mesi di saluti e chiacchiere, alla domanda su come sopportasse tutto questo, mi rispose sinceramente.
Invento.
Pensa a quante volte – mi disse – ti trovi a voler cambiare una cosa, a voler dire diversamente una frase, volerci aggiungere rabbia o sarcasmo invece di balbettare. Non esiste un tasto per riavvolgere la vita o per far tornare indietro il tempo, ma pensa a quante volte lo fai mentalmente. Ecco, per me è così dal lunedì al sabato. Per difesa. Per sopravvivenza. Otto ore al giorno, con una di pausa, qui dentro a guardare la gente passare senza poter fare nulla di diverso dal vedersi scorrere davanti decine di vite diverse senza conoscerle, senza poterle toccare.
Allora invento.
La realtà non è divertente, è piatta e prevedibile.
Sapevo prima di loro che Bistazzon e la dirigente scolastica sarebbero finiti insieme, che la passione per i fiori di Altazzini non si fermava certo alla botanica, quando vidi il motorino dei fratelli Caldovai ero sicuro sarebbero finiti a fare scippi, certo, non potevo immaginare fossero tanto imbecilli da iniziare a farlo qui davanti e a volto scoperto, ma non ho mai visto chissà quale luce brillare nelle loro teste, il loro futuro di lungodegenti da finestre a scacchi era scritto comunque da tempo.
Ti faccio un esempio, guarda ora, cosa vedi?
Cosa vedo, vedo una via trafficata del centro, gente che passa, non c’è altro.
No. Nella tua testa ci sono tante cose, tanti stimoli, tu stai vivendo. Pensi già alla cena e siamo nemmeno alle dieci del mattino, sei proiettato a quello che farai tra dieci minuti quando andrai via, ai compiti del pomeriggio, alla partita di domani, alle vacanze estive, alla ragazza bionda che ti piace ma non sai come dirglielo.
Non c’è nessuna ragazza bionda.
Dovrebbe esserci. Dovrebbe esserci sempre una ragazza bionda, altrimenti è solo tempo che passa. Ma ci arriverai con gli anni e i peli sul petto. Guarda ancora, cosa vedi?
Lo stesso di prima: gente che cammina.
Adesso ti dico cosa vedo io. Ti insegno a sopravvivere.
Davanti ai miei occhi, nella mia mente, ci sono file disordinate di persone a camminare in tutte le direzioni possibili, urtandosi, sfiorandosi, guardandosi negli occhi o ignorandosi completamente.
Un autobus passa interrompendo momentaneamente il flusso dei pedoni, solo per un attimo, poi riprende più caotico di prima. Il conducente guarda la strada, accanto a lui una signora alza un dito nel chiaro segno di una muta domanda.
Vorrebbe sapere su quale linea sta viaggiando, da qualche settimana le capita di svegliarsi in diversi punti della città senza ricordare come ci sia arrivata, perde pezzi interi della sua giornata ma non vuole dirlo al figlio per paura la tolga da casa sua per metterla in un posto pieno di vecchi, il problema è che adesso dovrebbe essere fuori scuola della nipotina a prenderla ma non riconosce l’autobus e nemmeno il quartiere. Il panico, la disperazione fanno a pugni con la vergogna e una antica educazione che le impone di non disturbare il conducente, anche se questo sta solo parlando con un altro passeggero dei fatti suoi. Riuscirà a calmarsi e chiedere con gentilezza quale via stiano percorrendo all’autista, ma non riuscirà a trattenere le lacrime quando si renderà conto che sua nipote, in realtà, adesso ha vent’anni e vive a Londra.
Sulla strada, un venditore di caldarroste suona una campana che richiama l’attenzione di due bambini e l’abbaiare di un cane.
Il venditore è persiano, no scemo, non è un gatto, era amico intimo dello scià e ha visto più ricchezza di quanta noi possiamo immaginare, ha viaggiato su tappeti volanti e sfregato lampade magiche, osservato città sognanti racchiuse in una bottiglia per renderle eterne e ha ucciso, stuprato e torturato non per interesse politico ma solo perché ne aveva il potere. Per questo non sente sbagliato essere in esilio, vecchio, malato e costretto a una vita di stenti. Sa già che i due ragazzini tireranno un petardo nelle braci ma non farà nulla per impedirlo. Quando l’esplosione lancerà i tizzoni sulle sue mani, aspetterà qualche secondo più del dovuto per liberarsene, porterà il dolore delle bruciature per giorni, sentendosi meglio.
Due ragazzi sono immobili in un bacio eterno.
Sarebbe troppo facile immaginare uno sia un Montecchi e lei una Capuleti, in realtà lei fa Scioccammosca di cognome mentre lui è un Colonna, ma del colonnato di Focene; per lui, Bernini giocava ala destra nel Vicenza. Come i due imbecilli narrati dal bardo, anche loro hanno una rivalità familiare, la loro è solo assai più banalmente riconducibile al controllo del mercato del pesce. Lui le chiederà di sposarlo mettendo l’anello sul rostro di un pesce spada. Lei piangerà.
Di gioia.
Pensando sia la cosa più romantica al mondo.
Andranno in chiesa entrambi vestiti di bianco, scendendo da un tiro a sei di cavalli bianchi e litigheranno col prete perché indossa dei paramenti colorati.
Ecco come sopravvivo. Sognando.
Come avere un televisore mentale, insomma.
Esatto. Senza pubblicità e solo con i programmi preferiti.
Mi hai convinto, ci proverò.
Ti auguro di non averne bisogno, credimi. In caso, devi avere un aiuto – frugò tra i cartoni di pizza e ne tirò fuori un quaderno – inizia da subito, diventerà sempre più facile, per diventare piacevole e finire in bellissimo.
Adesso devo andare.
Fila. E studia, non finire dentro una 127 anche tu con un televisore immaginario.
Che film stanno dando ora? – chiesi allontanandomi.
Uno con una ragazza bionda.
Bellissimo articolo, anche io mi rifugio nelle pagine di un quaderno quando voglio scappare per un po’ dalla realtà!
Marta
Oltre allo stile, piacevolissimo da leggere, fa piacere immedesimarsi e sapere di non essere i soli a immaginare per (soprav)vivere.
Grazie per aver condiviso ?
(Commento per sbaglio postato anche su altro articolo. Non credere negli ombrelli non va d’accordo con “mi ostino a usare il cellulare comunque”)
Dai tempi lontani di una domanda retorica (“Ma chi ho ammazzato na’ vita precedente?”).
In luoghi “sociali” che non mi sento di frequentare (Leggo volentieri “da fuori” la tua pagina fcbk, complimenti davvero, riesci ad avere un seguito di persone e non di belve feroci. Non faccio ironia, provo sincera ammirazione).
In giro per il web, come qui, per esempio.
La ragazza, tu dici che è bionda, sarà così. Non sono del tutto d’accordo: siccome che sono cecata, for me she was “the girl with the mousy hair” e il tuo brano suonava con quelle note che chiedevano se ci fosse vita lassù. Perché quaggiù di vita c’è solo quella che ci mettiamo noi.
Grazie Paolo di quanto condividi.